Impression, Carcente

IT - Impressione, Carcente

Carcente è il nome del paesino in cui ho trascorso gran parte della mia infanzia, un piccolo borgo per la maggior parte disabitato, senza strade né comodità, un gruppo di case in pietra costruite su una montagna che affaccia sul lago di Como. I miei nonni materni si innamorarono di quel luogo e investirono i loro risparmi per acquistare un rudere e nel tempo libero ristrutturarlo. Il numero di abitanti di Carcente non arrivava a riempire le dita di due mani nonostante le case che componevano il paesino erano almeno 5 o 6 volte tante, ormai disabitate oppure diroccate. Oltre alle case c’erano solo una piccola chiesa e un lavatoio. Le donne del paese si ritrovavano nello spiazzo del lavatoio, immerse nel profumo del sapone di Marsiglia che strofinavano con forza sui panni e chiacchieravano risciacquando le lenzuola nel fontanone, per questo l’acqua aveva sempre un colore bianco torbido. Inutile dire che l’unico vero appuntamento era la domenica mattina quando veniva celebrata la Messa nella piccola chiesa. Era divertente vedere le persone che durante la settimana incontravi vestite sempre con gli stessi indumenti, chi da pastore, da falegname o da muratore, sfoderare il loro abito della festa, probabilmente riesumato dal loro matrimonio, e venire a festeggiare Dio e il prete. Le mie giornate passavano in totale libertà e in una felice solitudine, esplorando con curiosità ogni luogo segreto di quella perla incastonata tra i boschi e le mulattiere. Nonostante lo scenario rimanesse immutato io riuscivo ogni giorno a vivere quel paese come se non ci fossi mai stato, grazie all’immaginazione e alla genuinità dovuta all’età, era come se esistessi in un luogo senza spazio né tempo. La fortuna di vivere nel “momento presente” amplificava i miei sensi e registrava nel mio inconscio profumi, sapori, momenti dove la luce filtrava in maniera particolare, esperienze che sarebbero diventate ricordi e che ovviamente al tempo non ero consapevole stessero costruendo il mio bagaglio emotivo. Crescendo andai sempre meno a Carcente fino a non andarci quasi più del tutto. Solo recentemente, vivendo un po’ di malessere psicologico, ho iniziato a scavare nel mio vissuto scoprendo con amarezza che nonostante quel paesino sia ancora così come l’ho lasciato, non è più possibile viverlo con gli occhi di quel bambino. Da questa consapevolezza nasce il mio progetto “impressioni di Carcente”, una serie di 365 stampe raffiguranti lo stesso soggetto differenziate solo dall’uso di diverse combinazioni di colore. Come per i pittori Impressionisti voglio cercare di catturare la luce che ogni giorno si presenta in maniera unica ma, a differenza loro che erano soliti dipingere “en plein air”, io la cercherò nei miei ricordi. Non ho l’arroganza di pretendere che tutti sentano la nostalgia di un’infanzia passata in un luogo ma sono sicuro che ognuno ha un proprio Carcente a cui riandare con la memoria, magari quando inaspettatamente annusano un profumo o quando sovrappensiero vedono il sole attraverso le fronde di un albero.

EN - Impression, Carcente
Carcente is the name of the small village where I spent much of my childhood, a little hamlet mostly uninhabited, without roads or amenities, a cluster of stone houses built on a mountain overlooking Lake Como. My maternal grandparents fell in love with the place and invested their savings to buy a ruin, which they renovated in their free time. The number of inhabitants in Carcente didn’t even fill the fingers of two hands, despite the fact that the village consisted of at least 5 or 6 times as many houses, most of which were either abandoned or in ruins. Besides the houses, there was only a small church and a wash-house. The women of the village would gather at the wash-house square, immersed in the scent of Marseille soap, which they vigorously scrubbed onto their laundry while chatting and rinsing their sheets in the large fountain. This is why the water always had a cloudy white color. Needless to say, the social highlight was Sunday morning, when Mass was celebrated in the small church. It was amusing to see the people you met during the week always dressed in the same clothes—whether shepherds, carpenters, or bricklayers—put on their Sunday best, probably dusted off from their wedding day, and come to celebrate God and the priest. My days passed in total freedom and happy solitude, exploring with curiosity every secret corner of that gem nestled among the woods and mule tracks. Although the scenery remained unchanged, I was able to experience the village every day as if I had never been there before, thanks to the imagination and innocence of youth. It was as if I existed in a place beyond space and time. The fortune of living in the “present moment” heightened my senses and imprinted in my subconscious the scents, flavors, and moments when the light filtered through in a particular way, experiences that would become memories. Of course, at the time, I was unaware that these were building my emotional baggage. As I grew up, I visited Carcente less and less, until I hardly went at all. It was only recently, while dealing with some psychological discomfort, that I began to dig into my past and discovered with bitterness that, although the village remains just as I left it, I can no longer experience it through the eyes of that child. From this awareness, my project “Impressions of Carcente” was born—a series of 365 prints depicting the same subject, differentiated only by the use of various color combinations. Like the Impressionist painters, I want to try to capture the light that presents itself uniquely each day, but unlike them, who used to paint “en plein air,” I will search for it in my memories. I don’t have the arrogance to pretend that everyone feels the nostalgia of a childhood spent in a place, but I am sure that each person has their own Carcente to return to in their memory, perhaps when they unexpectedly smell a scent or when they distractedly see the sun through the branches of a tree.